Forse lo sapete già che quello che state leggendo in questo editoriale è stato scritto almeno otto o dieci giorni prima che voi lo leggiate. Questo è uno dei limiti più evidenti del nostro uscire settimanalmente. E i limiti pesano.
Tuttavia, se fossimo solo un giornale qualsiasi cercheremmo i modi, leciti o no che siano, di ovviare a questo. Tra noi, però, non è così. E come ci insegna il nostro maestro, a volte i limiti possono diventare delle occasioni.
Mentre scrivo mancano otto giorni alla Pasqua, i bambini di Gerusalemme cantano agitando festanti i rami, le note della passione si diffondono insieme all’odore dello storace, le croci sono velate e le statue della Madre di Dio sono rivestite di preziosi pizzi neri. Eppure a me tocca scrivere già per la Pasqua, tocca pensare già come se fosse il giorno di Pasqua.
Non è forse già questo un segno e un privilegio? Non è forse questa una abilità profetica e una capacità prospettica che dovrebbe appartenere non solo a chi come me deve scrivere in anticipo il numero di un giornale, ma dovrebbe caratterizzare tutti i credenti? Non è forse questa una attività che rende diversa la vita del cristiano da quella dell’uomo comune?
Mentre viviamo la passione, parliamo e agiamo con lo sguardo rivolto alla Resurrezione, da due punti di vista: liturgico e sociale.
Sicuramente lo facciamo, lo spero, per la passione liturgica. Celebrare la Settimana Santa è annunciare già il mistero della Resurrezione. Lungi da una teatrale mestizia per la passione e morte di Cristo, noi celebriamo il Triduo Santo per vivere un reale coninvolgimento con la sua vittoria. Non commemoriamo la sua morte, ma celebriamo, cioè viviamo realmente la sua offerta, il suo sacrificio, il suo donarsi totalmente. Crocifisso sul Golgota in quel buio venerdì di quasi duemila anni fa, Cristo non smette però di offrire se stesso al Padre come sacrificio in nostro favore. Il suo atto di donazione, di effusione totale di amore è eterno. Ed eternamente questo patire viene riempito di vita dal Padre, trova il suo trionfo nella della Resurrezione dai morti.
Celebriamo la Settimana Santa perché già viviamo nel mistero della Resurrezione. Se Cristo non fosse veramente risorto dai morti, allora avremmo avuto solo da commemorare e non da celebrare. Ma Cristo è davvero risorto e noi non abbiamo da commemorare, ma abbiamo da celebrare, vivere pienamente, partecipare connettendo il nostro tempo all’eternità. Perciò mentre celebriamo il Giovedì e il Venerdì e il Sabato Santo noi già sappiamo ed annunciamo che Cristo è risorto. Altrimenti vana sarebbe la nostra fede.
Ma questo è solo un aspetto al quale non deve mancare un secondo. Perché anche guardando e condividendo la passione, la sofferenza, la violenza del mondo, noi siamo chiamati a scrivere già per la Pasqua, pensare già come se fosse il giorno di Pasqua. Come sta facendo ora chi scrive.
É difficile, ma è necessario. Vediamo anche oggi l’arroganza dei potenti, i Pilato ed Erode che diventano amici quando si tratta di umiliare i poveri; vediamo anche oggi la pochezza e l’ipocrisia dei capi religiosi, che pur di conservare se stessi sono disposti a condannare il Dio che avrebbero dovuto venerare; vediamo anche oggi la stupidità della folla che sa solo agire in massa, che preferisce ripetere come un ritmo da discoteca “crocifiggilo, crocifiggilo”, e perde la libertà di scegliere con coscienza il bene, di difendere la vita e la dignità; vediamo anche oggi lo smarrimento della Chiesa che, come gli apostoli, sembra non avere il coraggio di restare accanto al suo Signore, di annunciare apertamente la sua divinità, di unirsi senza paure alla sue scelte impopolari.
Mentre viviamo tutto questo, noi dobbiamo già annunciare la Pasqua dei morti in medio oriente, dei bambini e dei civili di Gaza. Dobbiamo gridare la Pasqua dei migranti, dei popoli oppressi da un’economia ingiusta, la Pasqua dei nostri fratelli schiavizzati nei territori più poveri del mondo per produrre i cellulari che abbiamo in mano e i vestiti che ci vantiamo di cambiare ogni giorno. Dobbiamo proclamare la Pasqua delle migliaia di vite abortite nei nostri paesi che si vogliono dire civili, la Pasqua dei malati terminali, delle vittime del lavoro, degli accusati ingiustamente, la Pasqua dei cristiani perseguitati, dei ministri di Dio uccisi in odio alla fede.
Non limitiamoci a guardare, a denunciare. Cristo è veramente risorto e in Lui – questo vogliamo annunciare – tutta la sofferenza è pronta a risorgere.
don Giuseppe Germinario, direttore