Domenica 22 giugno: Corpus Domini

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Noi siamo facilmente indotti a considerare questo Sacramento, per il mistero che contiene e che lo circonda, per la riverenza che gli è dovuta e che lo mette al riparo d’ogni profano rumore e d’ogni comune contatto, quasi isolato ed estraneo all’esperienza della vita vissuta e alla circolazione dei rapporti sociali. Che al Sacramento della presenza del Signore fra noi sia dovuto ogni riguardo, ogni riverenza, e non solo esteriore (cfr. 1 Cor. 2, 30-31), sta bene; ma sarebbe incompleta la nostra informazione religiosa e sarebbe priva della sua migliore risorsa la nostra coscienza sociale, se dimenticassimo che l’Eucaristia è destinata alla nostra umana conversazione, oltre che alla nostra cristiana santificazione; è istituita perché diventiamo fratelli; è celebrata dal Sacerdote, ministro della comunità cristiana, perché da estranei, dispersi, e indifferenti gli uni agli altri, noi diventiamo uniti, eguali ed amici; è a noi data, perché da massa apatica, egoista, gente fra sé divisa e avversaria, noi diventiamo un popolo, un vero popolo, credente ed amoroso, di un cuore solo e d’un’anima sola (cfr. Act. 4, 32).

Ripetiamo le sante e celebri esclamazioni: “O sacramentum pietatis! O signum unitatis! O vinculum caritatis!” (S. Aug., In Io. Tract. 26, 13; P.L. 35, 1613).
Ora, fratelli e figli carissimi, tutto ciò ha una duplice grandissima importanza: quella di mostrarci come l’Eucaristia sia causa meravigliosa dell’unificazione dei credenti, con Gesù Cristo e fra di loro; lo afferma con la sua consueta incisiva chiarezza l’antico e grande Nostro predecessore, San Leone Magno: “a non altro tende la nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo, che a trasformarci in ciò che assumiamo” (Sermo 63, 7; P.L. 54, 357). La vera e completa unità dei fedeli componenti la Chiesa è il risultato della loro partecipazione all’Eucaristia.

E in secondo luogo questa comunione di fede, di carità, di vita soprannaturale, derivante dal Sacramento che la significa e la produce, può avere un enorme e incomparabilmente benefico riflesso sulla socialità temporale degli uomini.

San Paolo VI, Papa
Omelia 17.06.1965