Fra povertà e volontà

Riportiamo l’articolo di approfondimento sulle povertà presenti nel nostro territorio diocesano, attraverso la “lente d’ingrandimento” della Caritas diocesana, pubblicato sul n. 21 di Luce e Vita di domenica 8 giugno 2025

Il Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia relativo all’anno 2024, pubblicato da Caritas Italiana e presentato a novembre scorso in occasione della VIII Giornata mondiale dei poveri, ha un titolo evocativo: Fili d’erba nelle crepe. Risposte di Speranza. Ciò rimanda alla fragilità e alla possibilità della vita di farsi spazio nonostante le difficoltà, con risposte coraggiose per reagire alla precarietà.

Il Rapporto evidenzia che in Italia quasi una persona su dieci vive in condizione di povertà assoluta ovvero quasi 6 milioni di persone non possono permettersi di affrontare una spesa mensile minima per acquistare beni di prima necessità e servizi essenziali per vivere dignitosamente.
Urgente è la questione della povertà legata ai minori, che è ai massimi storici e destano preoccupazione i nuclei familiari dove sono presenti minori, perché sono i più poveri dei poveri.
Anche quest’anno abbiamo acceso i riflettori sul territorio diocesano, per analizzare le molteplici dimensioni della povertà.

giovani e progettazione interventi sociali

A Molfetta si sono rivolti al centro di ascolto 190 persone, di cui 109 uomini e 81 donne, con età media di 52 anni e con un titolo di studio di scuola media inferiore. Le richieste maggiori hanno riguardato il pagamento di bollette per l’energia elettrica. Nel corso del 2024, sono stati effettuati 220 ascolti a persone in stato di bisogno, con piccole pensioni o disoccupati con lavoretti occasionali.
Molte persone che si rivolgono al centro cittadino lavorano in nero o sono sottopagate. Le difficoltà sono legate soprattutto alle esigenze economiche familiari e domestiche, come il pagamento delle utenze, l’affitto e le spese alimentari. L’instabilità lavorativa si traduce in precarietà economica che non consente di affrontare le spese con serenità. Relativamente all’Assegno di Inclusione che ha sostituito il Reddito di Cittadinanza, si è riscontrata una maggiore difficoltà nei passaggi burocratici per accedere a questa risorsa, per cui alcune procedure sono state sospese e anche la formazione offerta non ha portato a un impiego. Con le istituzioni del territorio c’è un lavoro di rete, dialogo e supporto, manca tuttavia il collegamento con le aziende, così da poter creare occasioni concrete di assunzione e anche con le altre realtà assistenziali manca la collaborazione.

La situazione a Ruvo è complessa.
Durante il 2024, si sono rivolte al centro d’ascolto ben 150 famiglie, di cui 99 italiane e 51 straniere, per raggiungere un totale di 368 componenti dei nuclei familiari (soprattutto formati da 3-4 membri; a seguire, nuclei monopersonali e di 2 componenti).
La fascia preminente di persone richiedenti supporto è quella tra i 45 e i 54 anni; poi tra i 55 e 64 anni e al terzo posto la fascia 35-44 anni, in tutti e tre i casi a prevalenza maschile. Delle famiglie aiutate, la maggior parte comprende minori oppure è composta da un solo genitore con figli.
In ben 108 nuclei familiari, il capofamiglia è disoccupato. Anche a Ruvo il titolo di studio prevalente delle persone sostenute è la licenza media, quasi di pari entità quella elementare. Gli interventi più consistenti (1980 effettuati) riguardano il servizio di doposcuola per minori (9 minori accompagnati nello studio e nelle attività pomeridiane per 20 giorni al mese, per 11 mesi all’anno); a seguire, distribuzione di abbigliamento (604) e di viveri (363), in convenzione con Emporio Legàmi; importante il sostegno per il pagamento delle bollette e l’ascolto dei bisogni.

uscita minori, presso Città della Scienza – Bari

Con l’apertura dell’Hub Lavoro nel Centro Caritas Cittadino, nel 2024 si sono registrati 105 accessi totali per richieste di lavoro, prioritariamente nella fascia tra i 30 e i 64 anni, di sesso femminile e nazionalità italiana. L’équipe dei volontari Caritas di Ruvo mette in evidenza la bassa scolarità di quanti si rivolgono al centro di ascolto, che porta a una scelta lavorativa di tipo manuale – o lavoro nero – che non permette una continuità occupazionale e una paga dignitosa. «Le attuali misure contro la povertà (il passaggio da RDC a ADI) hanno ristretto il numero delle famiglie beneficiarie, riducendo di circa un terzo gli aventi diritto. E nonostante l’iscrizione al Supporto Formazione Lavoro non riescono a far fronte al sostentamento dell’intera famiglia» si legge nella loro relazione.

Il centro cittadino collabora con l’Amministrazione, specie con i Servizi sociali, offrendo sostegno nella realizzazione di progetti per persone vulnerabili e appoggia iniziative di gruppi, associazioni, parrocchie che rientrino nelle finalità caritative. Monitora costantemente il territorio, interfacciandosi con i volontari parrocchiali e cercando di costruire risposte di prossimità e solidarietà.

A Giovinazzo, si sono rivolti al centro cittadino 87 donne e 43 uomini, specialmente per pagamento di utenze e affitto, per un totale di 163 ascolti effettuati.
Si tratta di persone con basso reddito o senza; in ogni caso la forza economica non è tale da affrontare le spese e persino quanti hanno avuto diritto all’Assegno di Inclusione non riescono a far fronte alle necessità. C’è poco dialogo con le aziende, mentre il rapporto con le istituzioni garantisce una buona collaborazione, in particolare con i Servizi Sociali.

Anche Terlizzi presenta una situazione variegata, fondamentalmente per la presenza massiccia di migranti, soprattutto nei mesi della raccolta delle olive. A rivolgersi al centro cittadino sono stati: oltre 200 uomini stranieri, 46 uomini italiani, 21 donne straniere e 36 italiane. Gli stranieri di età compresa fra i 17 e i 65 anni, di cui oltre la metà sotto i 40 anni. La maggior parte di loro lavora nel settore agricolo senza contratto. Per gli italiani, l’età media è di 50 anni. Le esigenze prioritarie sono state: 50% affitti, 30% pagamento delle utenze domestiche; 10% acquisto di farmaci o per altri interventi sanitari e il restante per vestiario.

«Il lavoro povero è una costante, che genera altra povertà invece che benessere» afferma l’avv. Edgardo Bisceglia, vicedirettore della Caritas diocesana, specificando che «il lavoro povero è una urgenza del nostro tempo. Ormai anche chi potrebbe assicurare stipendi congrui paga poco, motivando che il lavoratore è giovane, senza esperienza, che meglio questo che niente. Alla fine diventa un ricatto vero e proprio che colpisce ovviamente i più giovani».
Significativa la constatazione che «in Caritas oltre la metà degli interventi sono in favore di gente che lavora, ma che ha redditi troppo bassi e già con un figlio e un fitto di casa si è poveri». Quanto all’Assegno di Inclusione «è un puntello, ma l’ideale sarebbe stato mantenere il Reddito di Cittadinanza, con una reale azione di formazione e reinserimento lavorativo».

animazione di strada

Relativamente al dialogo con le istituzioni, si riscontra sia disponibilità che volontà, «ma i servizi pubblici non riescono a seguire tutti i cittadini al meglio. Mancano le risorse umane per farlo. Ad esempio, la legge prevede un assistente sociale ogni 5mila abitanti… e mancano risorse economiche per il welfare».
Se avere un ponte con il mondo aziendale sarebbe la soluzione migliore per sostenere chi è in difficoltà, il vicedirettore riscontra che «il contatto con aziende e gli imprenditori è difficile, perché noi non possiamo fare da meri intermediari, il rischio di mettere le persone nel circuito dello sfruttamento è grosso.
Ci sono però esempi virtuosi di collaborazione come nella città di Ruvo di Puglia dove siamo riusciti a fare due inserimenti lavorativi per ex detenuti. Diciamo che c’è un lavoro da fare caso per caso, ma occorrerebbe una regia pubblica per mettere insieme offerta e domanda».

Un’ultima – triste – rilevazione è che «le comunità (cittadine, ndr) non stanno attraversando un periodo storico fatto di solidarietà e senso del bene comune. Questo si riverbera su vari aspetti della vita quotidiana. Parrocchie, confraternite, etc potrebbero fare molto di più. La solidarietà sta diventando sempre meno un valore in cui credere. La gente è immersa in dinamiche e narrazioni violente, populiste, in cui l’altro diventa il nemico per il mio benessere. L’altro è una minaccia alla mia condizione. Questo inevitabilmente corrode processi solidaristici. Le persone senza nemmeno accorgersene sono portare a chiudersi in sé stesse, a volere che le sorti dei più siano decise dalle istituzioni, che così però si svuotano di partecipazione e diventano sempre più autoreferenziali».
Come reagire allora? Per l’avv. Bisceglia occorre insistere su interventi educativi, promuovere la dimensione culturale di una comunità che deve riscoprire l’importanza dei fattori di coesione sociale e solidarietà.
Firmare per l’8xmille lo permetterebbe.

Susanna M. de Candia, vicedirettrice

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