Mirar la bellezza fuori e dentro di noi

Le luci del campanile in cima alla collina di fronte a noi si fanno sempre più visibili, approfittando del lento ma inesorabile declino del bagliore solare orami al crepuscolo. L’aria si fa freschetta e noi, che siamo in pantaloncini, cominciamo ad avvertirlo, nonostante il calore e l’allegria con la quale ci siamo fermati al centro di questo campo verde a chiacchierare e scherzare. Poco più in là, un simpatico gruppo di signore sta terminando di risistemare il salone parrocchiale nel quale abbiamo consumato la nostra cena.

È vero che sapevano di dover sfamare quindici giovani che venivano da una giornata con 24 km di strada a piedi e un grande zaino sulle spalle, ma non ci aspettavamo che ci preparassero in quantità smisurata un ragù toscano da leccarsi i baffi, carne, contorni, dolci, frutta. Non mancava neppure il vino, quello fatto dai vitigni dei loro mariti, e il parroco a fare da cameriere! Poco prima i loro ragazzi avevano risistemato giardino e campetto per il nostro arrivo e preparato uno spuntino nella cucina della canonica.

«Don ma perché hanno fatto tutto questo per noi?» mi dice Silvio ad un certo punto. Gli altri si incuriosiscono, perché forse se lo stanno domandando anche loro. Poi Elena aggiunge: «Me lo sono chiesta anch’io avantieri quando Tina e Franco, senza averci mai conosciuti prima, ci hanno ospitato nella loro casa, sudati e sporchi, e ci hanno offerto la merenda». Sto per parlare anche io, ma mi precede Mattia: «Per me il posto più sorprendente è stato l’oratorio in cui ci hanno ospitato ieri, da favola! E poi la sorpresa di don Andrea e di Bernardo che alle 11.00 di sera ci hanno aperto la Basilica e il Museo: a quell’ora, solo per noi, senza che glielo avessimo chiesto, ci hanno fatto sostare per quasi un’ora davanti alla Annunciazione del Beato Angelico».

Lo devo ammettere: forse neppure io credevo che la testimonianza della ospitalità evangelica e della generosità cristiana potesse ancora parlare così chiaramente, potesse in un mondo distratto attirare l’attenzione, potesse nel cuore dei giovani suscitare domande autentiche. Riesco a parlare: «Perché questo ha insegnato Gesù e chiunque accoglie, serve, ama gli altri sta mettendo in pratica il Vangelo. Ecco che significa essere cristiani: credere in Gesù e fare quello che Egli ha fatto». Silenzio, come quando un seme cade dolcemente nel terreno, senza far rumore.

Il senso di un cammino è anche questo, anzi soprattutto questo: lasciare che sia la vita a parlare, far sì che la strada diventi maestra di vita, che l’esperienza sia l’unico manuale consultabile. Senza teorie, senza retoriche, senza incontri preparati a tavolino o domande studiate all’occasione.
Un cammino può essere davvero uno di quei «trampolini di lancio», di cui ha parlato Papa Leone XIV, «per esplorare vie, elaborare strumenti e adottare linguaggi nuovi, con cui continuare a toccare il cuore degli allievi, aiutandoli e spronandoli ad affrontare con coraggio ogni ostacolo per dare nella vita il meglio di sé, secondo i disegni di Dio» (Leone XIV, Discorso ai fratelli delle scuole cristiane, 15 maggio 2025).

Siamo in questo campo, immersi nel verde, e continuiamo a ridere. In cielo, nel frattempo, le stelle hanno cominciato la loro serata. Qui sembra tutto al contrario: mentre in città il cielo è buio e le strade sono costellate di lampioni, qui la terra è buia e il cielo sembra più luminoso di una metropoli vista dallo spazio. È già da quattro giorni che siamo in cammino: dormire a terra è diventata una comodità (vedessi le facce il primo giorno!), farsi la doccia con l’acqua fredda è un vero relax tonificante, lavarsi i denti alla fontana uno spasso, doversi lavare la roba alla meglio e fare di tutto perché asciughi prima del tramonto, e tutto questo dopo aver camminato sei o sette ore al giorno, tra il sole e le salite, con il fiume lungo il quale sostare a riposo, ma a volte da guadare con gli scarponi pieni di fango, le sterpaglie e i viali alberati da fiaba, i casali e le distese di vigneti. Siamo partiti da Arezzo e domani ci aspetta l’arrivo a Firenze.
E lungo la strada il mondo si è capovolto, quello che non avremmo mai immaginato di fare e di imparare è diventato il nostro più grande divertimento.

Siamo felici, perché quando siamo partiti non sapevamo nemmeno i nostri nomi, con alcuni non ci eravamo mai visti prima. Ora siamo legati più che se fossimo fratelli, come se ci conoscessimo da sempre. Inizia a far freddo. «Andiamo dentro che non ho le scarpe e sento freddo» dice Giada, quasi che senza gli altri non riesca a muoversi. Caterina è d’accordo con lei. Alessio ha messo la sua musica, che oramai è anche la nostra preferita, e Francesco è ancora una volta al centro delle nostre battute. «Dai, sì, andiamo dentro» dice Jacopo, «però facciamo un gioco – propone Mattia – e devono giocare tutti«. Giuseppe e Alessandro vedono velocemente i risultati della partita di serie A che è appena finita, «Angelo, hai visto?!» esclamano. Il telefono quasi ci siamo dimenticati che esista. Stella ed io li seguiamo. «Però senza fare troppo tardi» dico, con poca convinzione.

Non sappiamo ancora la bellezza che ci attende domani. Sappiamo soltanto che ce la saremo conquistata con i nostri piedi. Quel campanile, ora lontano, quando domani lo avremo raggiunto, dopo un durissimo dislivello da salire, ci riserverà una vista mozzafiato: una grande macchia bianca dalla quale svetta rossa e immensa la cupola del Brunelleschi. È Firenze. Tra gli alberi e le colline ci accompagnerà per tutto il tragitto, si avvicinerà sempre più, facendoci gustare il sapore della meta. Domani arriveremo sotto il campanile di Giotto, davanti alla porta del Ghiberti, nel cortile di Palazzo Vecchio, nei corridoi degli Uffizi circondati da Leonardo e Botticelli, Michelangelo, Tiziano, Raffaello, Caravaggio. Ci mangeremo una fiorentina grande quanto il nostro zaino, balleremo con una coppia che fa la serenata su Ponte Vecchio la sera prima del loro matrimonio, celebreremo l’Eucaristia in una delle più belle chiese della città.

Tutto questo non lo sappiamo ancora stasera, ma siamo già certi che, anche se saremo arrivati, sapremo di essere sempre all’inizio di un cammino «che ci ha portati a mirar la bellezza fuori e dentro di noi».

don Giuseppe Germinario, direttore