La prima comunità cristiana è fatta da uomini intimoriti, pieni di paura, sfiduciati e chiusi nel guscio della loro tristezza. Probabilmente hanno tutti poca voglia di parlare. È in questo contesto che si presenta un Gesù vittorioso sulla morte. La luce inonda improvvisamente la stanza in cui si trovano in quel momento. Gli apostoli alzano il capo.
Gesù è vicino a loro, con loro, in mezzo a loro. Allarga le braccia dicendo: «La pace a voi». Il primo messaggio ai suoi apostoli dopo al risurrezione è di Pace. Questa è la prima parola pronunciata dal Risorto. La pace può venire solo da Dio. Sono le stesse parole utilizzate da Leone XIV, “figlio di Sant’Agostino”, al primo saluto.
La pace ancor prima di essere un compito etico è una questione di fede: più che il nostro agire, tocca il nostro essere di persone conformate a Cristo in profondità. La pace coincide con la struttura dell’esistenza cristiana e con il piano salvifico di Dio. È dunque una parola potente ed esigente. Promuovere una civiltà della non violenza, soprattutto verso giovani, dovrebbe essere il primo dovere del cristiano.
Da quell’evento che ha rivoluzionato il corso della storia gli uomini non si sono ancora rappacificati. Penso alle guerre in ogni angolo del pianeta non raccontate. Ancora oggi il cuore del mondo grida pace e il culto delle armi sembra non trovare argini. Anche l’Europa sembra aver scelto questa via decidendo l’aumento della spesa pubblica per il riarmo.
Come cristiani, ha subito fatto intendere Leone XIV, dovremmo trovare il coraggio di riappropriarci del compito che ci è stato affidato di ministri della nonviolenza. Il no alla guerra, a qualsiasi guerra, è alla radice del messaggio evangelico. Ce lo insegnano alcuni straordinari profeti del nostro tempo come don Tonino Bello: “Non si può tenere il piede in due staffe. Non possiamo accettare che la guerra sia definita ‘sempre ingiusta’ e poi ritenerla ‘inevitabile’. La guerra è il fine tenacemente perseguito da bande, cricche e cosche che vedono nella pace una minaccia per i loro profitti”. Colpiscono per la lucidità queste affermazioni pronunciate al tempo della guerra del Golfo. Colpiscono per la loro attualità, considerato oggi anche il permanere della perversa situazione di guerra in Ucraina, come in tanti altri scenari internazionali.
La gran parte delle guerre, o forse tutte, non sono che la patina di un problema ancora più profondo: la mancanza di giustizia sociale. E in questo caso ci viene in aiuto don Primo Mazzolari del “Tu non uccidere”, scritto sulle ceneri dell’ultima guerra mondiale e che lega indissolubilmente la giustizia alla pace – perché la guerra non è solo bombe ma l’esistenza di un “violento sistema economico che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri” – e che indica la scelta dei poveri e della non violenza come essenza del Vangelo e come necessità storica.
La pace non è banalmente il contrario della guerra, come aveva ben fatto capire Francesco, è un modo di vivere, un modo di abitare la terra, un modo di essere umani nella convivialità delle differenze.
Giovanni Capurso