Un antico manuale definisce la vita spirituale «una scienza vissuta». Incuriosisce questa definizione, soprattutto nel nostro tempo nel quale, imbevuti di scientismo, circola una grande disaffezione per la spiritualità ritenuta qualcosa di evanescente e addirittura immaginaria. E anche se ci sono dei forti movimenti di ricerca di una vita interiore, spesso sono contaminati di psicologismo o di sentimentalismo.
La spiritualità cristiana, invece, è anzitutto una «scienza», che si fonda sul metodo scientifico principale: il metodo sperimentale. Essa parte dall’osservare gli eventi, le virtù, le azioni, le scelte che sono segno della azione di Dio nella vita quotidiana. Così hanno fatto per primi gli Apostoli con il Signore: l’osservazione del Suo modo di pregare li colpì tanto da voler chiedere al Maestro di insegnare loro a pregare; l’ammirazione per i Suoi gesti taumaturgici li attrasse tanto da voler provare a fare anch’essi azioni di bene per la vita degli altri; il Suo stile di vita li segnò tanto da accogliere senza riserve il Suo invito a seguirlo. E dopo di loro, tanti uomini e donne, nella storia della cristianità, sono stati affascinati dalla vita del Signore e dei suoi Santi.
Primo atto di questa «scienza» è l’osservazione di elementi, segni particolari, per ricercarne le cause. Tanto gli Apostoli, quanto i Santi e tanti altri buoni cristiani hanno saputo riconoscere come causa di tutto questo l’azione dello Spirito Santo, l’azione della Trinità. Attenzione, non si tratta di ricercare o individuare a tutti i costi eventi miracolosi o sovrannaturali, ma di riconoscere l’autenticità e potenza degli atti veramente umani che diventano trasparenza della potenza attiva di Dio. Il metodo sperimentale deve necessariamente essere accompagnato da una salda formazione dottrinale. Il ricercatore scientifico non è sufficiente che noti alcuni fenomeni, deve saperli riconoscere e ricondurre a delle conoscenze, deve essere esperto nella sua scienza per poter approfondire la ricerca. Così la spiritualità non si nutre solo di osservazione, ma di osservazione da parte di un cuore e una mente sempre più formati dottrinalmente, che conoscano la Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione. Solo una completa e retta formazione dottrinale, che si fondi su una fede retta e autentica, può sostenere il riconoscimento dei segni dello Spirito.
A questo punto, però, non si trascuri la seconda parola che qualifica la spiritualità cristiana: «vissuta». Ecco ciò che la rende diversa e, senza dubbio, superiore a tutte le altre scienze. Essa non è mera teoria o piacere della conoscenza, ma è ricerca appassionata di qualcosa che deve diventare la propria vita. Contemplare la vita meravigliosa e attraente di Nostro Signore e dei Santi, riconoscerne i segni visibili della grandezza e misericordia di Dio operata nella potenza dello Spirito Santo, rafforzare la propria consapevolezza della fede nella Santissima Trinità e nella vera umanità e divinità di Cristo, sono le premesse propulsive per una attività di vita cristiana nella quotidianità. La spiritualità è «una scienza vissuta», conoscenza interiore che diventa azione visibile, potenza travolgente che esplode in comportamenti guidati e sorretti dalla forza dello Spirito.
I doni dello Spirito Santo, infusi in noi gratuitamente dal Padre per mezzo del Figlio, vengono poi da noi effusi con altrettanta gratuità nelle scelte. È proprio lo Spirito Santo a conciliare in noi la nostra naturale debolezza, la nostra frequenza al peccato, alla caduta, all’errore, con la nostra profonda e reale aspirazione alla bellezza e alla bontà.
Lo ha ricordato Domenica scorsa anche Papa Leone XIV, dicendo che «ciascuno di noi può dire con fiducia: anche se sono fragile, il Signore non si vergogna della mia umanità, anzi, viene a prendere dimora dentro di me. Egli mi accompagna col suo Spirito, mi illumina e mi rende strumento del suo amore per gli altri, per la società e per il mondo» (Papa Leone XIV, Regina Coeli 25.05.2025).
Una vita cristiana sbilanciata o troppo sulla osservazione o troppo sulla azione perde il suo equilibrio. E quando si perde l’equilibrio non si riesce più ad andare avanti.
Una buona verifica da fare nella propria vita spirituale, quindi, è quella accompagnata da due domande:
Desidero e mi impegno a farne una conoscenza «vissuta»? Oppure mi lascio arrestare dai miei limiti, mi faccio scoraggiare dai miei peccati, abbandonando la possibilità di mettere in pratica la sublime via della sequela di Cristo? Desidero trasformare il mondo con l’energia della carità che viene soprattutto infusa in me grazie al dono dello Spirito Santo?
Quanto tempo e impegno dedico alla conoscenza e alla ricerca di Dio e dei suoi segni concreti nella semplicità della vita dei suoi Santi? Contemplo i misteri della Vita di Cristo, li esploro nelle pagine del Vangelo e li adoro nella silenziosa contemplazione dell’Eucaristia? Mi abbandono fiduciosamente nella dolcezza del mistero della Trinità Santissima e nel mare di Amore che costantemente riversa su di me? La mia vita spirituale è una «scienza» che si accresce sempre più nella ricerca amorosa?
don Giuseppe Germinario, direttore