Anche Pietro pensò di mettere mano alla spada. Ma Gesù, in uno dei momenti più forti della sua esistenza terrena, non lasciò spazio a dubbi e si schierò per il disarmo, totale. Si fece lui stesso vittima della violenza perché tutti scegliessero di ripudiare per sempre la violenza. Lasciò che i soldati puntassero contro di lui le loro armi purché rinunciassero a puntarle verso altri. E se pure sopportò la bruta violenza dei soldati, non permise che uno dei suoi brandisse la spada, comandò con solennità «rimetti la spada al suo posto» (Mt. 26,52). L’unica spada ammessa è la sua stessa Parola, che discerne i sentimenti dei cuori, non colpisce ma guarisce, non attacca ma consola. Nessuna arma fisica, nessuno strumento di attacco al prossimo è ammesso dalla maestà di Cristo. Egli prescrive il disarmo come compito per la nuova umanità che sta per generare dalla sua morte.
Anche in questo Pietro ha vissuto la conversione. Da quel giorno non ha mai più preso la spada e, come il suo Maestro, è passato dall’altra parte, dalla parte dei deboli, delle vittime, dei piccoli. Si è lasciato cambiare dalla potenza della Parola di Cristo, l’unico a proclamare il disarmo nel suo tempo, tempo di violenze e di guerre.
Dopo ventuno secoli la voce di Cristo resta ancora l’unica. Essa continua a risuonare tramite il suo Vicario in terra, tramite il successore di Pietro, il Santo Padre Papa Francesco.
La sua, quella del Papa, è l’unica voce rimasta a gridare senza sosta la necessità del disarmo, sempre e comunque. E se pure le sue precarie condizioni fisiche non gli hanno permesso di parlare nelle ultime settimane, il mondo intero è ancora carico della eco del suo appello incessante alla rinuncia totale delle armi. Non si può che restare sgomenti di fronte alla retorica della violenza che diventa sempre più insopportabile.
Pensavamo di vivere in un continente e in una realtà politica che, dopo l’orrore della seconda guerra mondiale, aveva scelto di ripudiare per sempre la guerra. Questo doveva essere l’Europa. Una scelta e un segno. E, invece, stiamo constatando, tristemente, che anziché sedare le ambizioni di riarmo sollevate da alcuni leader mondiali, i capi di stato europei quasi ci prendono gusto a riattivare una politica di scontro e di violenza. Stati democratici, come sono quelli che costituiscono l’Europa, dovrebbero opporsi, ostinarsi, resistere a un bullismo internazionale in crescita. Gli stati europei dovrebbero mostrare la maturità di chi, dopo una lunga storia di scontri e guerre, non cede più alla tentazione dello scontro. Ma così non è in questi giorni.
Anche solo a proclamarla la violenza fa violenza.
Fa violenza ai ragazzi, che dovrebbero essere educati da modelli di dialogo e di civismo e non di forza e bullismo, fa violenza alle famiglie, laboratori dove ogni giorno si costruisce la pace nella diversità delle vedute, fa violenza, fa violenza ai lavoratori, che vedono i loro sforzi sempre più malpagati, fa violenza ai malati e ai sofferenti, traditi da una politica intenta a creare altra sofferenza, fa violenza agli anziani, che ci hanno raccontato per una vita la bruttezza della guerra, fa violenza ai poveri, destinandoli a restare sempre vittime della storia.
Non vogliamo assuefarci a questo clima pesante, non vogliamo unirci a questo linguaggio violento, non vogliamo tacere di fronte a questo tradimento della nostra identità di fede e della nostra storia recente.
In questo tempo forte di Quaresima sentiamo di affermare, in comunione con Papa Francesco, quello che Gesù stesso ci ha insegnato: «rimetti la spada al suo posto».
don Giuseppe Germinario, direttore