Umile servitore nella vigna del Signore

L’amore per la Verità, Gesù Cristo, cercata, desiderata, adorata, insegnata dai tempi delle cattedre di teologia ai tempi della Cattedra di Pietro. L’adorazione sincera del mistero della Santissima Trinità è stata visibile non solo nelle parole, ma anche nei gesti e, soprattutto, nell’amore alla Chiesa. La Chiesa, creatura della Trinità, è stato il motivo portante della vita di Papa Benedetto XVI.

Egli ha lavorato da teologo, da vescovo, da prefetto e da Pontefice per la piena e autentica attuazione del Concilio Vaticano II, al quale aveva partecipato in prima persona. Senza estremismi, isterie di modernità, complessi di pauperismo mediatico, Benedetto XVI ha saputo incarnare lo spirito armonico del Concilio, con il quale la Chiesa ha voluto non rompere con il passato, ma impegnarsi per continuare a trasmettere l’unico messaggio di Salvezza nel futuro. Non ci sono dubbi: Benedetto XVI è stato vero attuatore del Vaticano II [speriamo non l’ultimo], con saggezza e capacità di tessere comunione nella Chiesa.

«Umile servitore nella vigna del Signore», ha utilizzato lo strumento più difficile ed efficace: l’amore. Deus caritas est: riconoscere in Dio il mistero dell’Amore vero e nell’amore il mistero del vero Dio, Padre Figlio e Spirito santo. Da questo amore trinitario Benedetto XVI ha tratto forza per amare sempre la Chiesa. L’amore per la Chiesa. La Chiesa si può amare solo se si ha la piena consapevolezza che «non è mia, non è nostra, ma è Sua», del Signore, come ci ha insegnato Benedetto XVI fino alla sua ultima udienza. Se oggi l’amore per la Chiesa si va affievolendo, forse è proprio per questo: si pretende di renderla a propria immagine e somiglianza, si vuole che soddisfi le attese del mondo, la si vuole trasformare secondo le logiche dell’approvazione popolare.

La Chiesa è di Cristo, è il suo corpo mistico, e Cristo è lo stesso «ieri, oggi e sempre». Chi vuol cambiare a suo piacimento l’amato non lo sta amando, ma sta compiendo un atto di amore egoistico tanto da pretendere che l’altro sia come voglio io. Chi vuol cambiare a suo piacimento, a piacimento del mondo, la Chiesa di Cristo non la sta amando, ma sta perpetuando un atto di egoismo tanto da volere che la Chiesa approvi tutto ciò voglio io. Amare la Chiesa è amare Cristo, e amare Cristo significa accettare anche la durezza del suo insegnamento, quando questo mette a nudo le nostre distorsioni e ci invita alla conversione. Non è Cristo, non è la dottrina di Cristo che deve adattarsi al nostro mondo, ma è il mondo che deve essere invitato ad adattarsi, convertirsi a Cristo e alla sua divina maestà. Non stiamo servendo Cristo quando annacquiamo le rigide esigenze del Vangelo. Sì, perché le parole del Vangelo sono rigide, sono roccia dura su cui si fonda la fede della Chiesa.

È Sua la Chiesa e Lui, Cristo, le ha dato la dolce legge del Vangelo e i suoi ministri non devono aver paura di annunciare quello che Cristo ha insegnato, soprattutto quando questo insegnamento è scomodo e genera reazione.
Durante il pontificato di Papa Benedetto XVI si è assistito, a volte, anche a proteste e contestazioni nei suoi confronti per la chiarezza del suo annuncio del Vangelo. Egli, con la sua serenità e dolcezza, ci ha insegnato che il compito apostolico può a volte provocare, anzi deve provocare, per incidere in chi, lontano da Dio, ha bisogno di essere corretto e guidato. Non è stato così dai tempi degli Apostoli, i quali hanno dovuto pagare con la vita la coerenza della loro testimonianza?

L’amore per la Chiesa è stato amore per il sacerdozio. Quanti si sono formati nei suoi anni di pontificato hanno imparato ad amare il sacerdozio per quello che veramente è: un dono di grazia! Quante parole di incoraggiamento e di insegnamento Papa Benedetto XVI ha speso in favore dei ministri ordinati.
La copiosa presenza di sacerdoti ai suoi funerali, gran parte di essi giovani, è stato il segno più eloquente del fascino vocazionale che ha saputo suscitare nella Chiesa. In questa attenzione per il sacerdozio non è mancato un luminoso magistero liturgico, fatto anche di cura e amore per la celebrazione dei divini misteri.

L’amore per la Chiesa è stato amore per l’unità. Stupefacente l’impegno teologico e pratico per favorire il rientro nella Chiesa Cattolica di tanti credenti di altre confessioni. Il dialogo autentico, senza sconti, ha portato frutti di stima ma anche di riflessione e di conversione. Perché la credibilità si misura dall’amore per la Verità, soprattutto quando questa fa emergere la diversità.

L’amore per la Chiesa è stato amore per i piccoli, i semplici, i sofferenti, per i tanti che ha visitato, aiutato, ascoltato, amato, per i quali ha pregato. Forse una delle parole che più ricordiamo di quelle da lui pronunciate è: gioia. Di gioia c’è bisogno, e Papa Benedetto XVI lo aveva capito, non di rimproveri ma di gioia, soprattutto per i giovani, i quali numerosi lo hanno seguito e amato.

L’amore per la Chiesa è stato amore per l’umiltà vera, quella che sa farsi da parte, sa mettersi in secondo piano. Gli ultimi dieci anni Benedetto XVI ha dato il suo più grande insegnamento: l’amore vero sa che non sono le parole o le azioni a reggere il mondo e la Chiesa, ma la preghiera degli umili. E un Papa che ha vissuto più anni da orante che da regnante non potrebbe essere esempio migliore per la Chiesa del fatto che il vero potere si esercita nell’umiltà della preghiera.

Ecco la vera rivoluzione della Chiesa, la rivoluzione di Dio perché, come ebbe a dire alla GMG di Colonia, «solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo».
Grazie Santità, grazie Papa Benedetto XVI!

don Giuseppe Germinario, direttore