don Michele Cipriani: la fraternità presbiterale al di là di ruoli ed età. Un testamento spirituale

E’ deceduto giovedì 16 febbraio don Michele Cipriani, già parroco della Concattedrale e Arciprete del Capitolo di Terlizzi. I funerali sabato 18, alle 16 nella Concattedrale della sua città.

Nel dibattito “Quando un prete lascia…” avviato in settembre dalla redazione di Luce e Vita, volle intervenire don Michele Cipriani, attentissimo Lettore: “Caro Gino, complimenti per gli interrogativi posti nel tuo articolo, te ne aggiungo altri. Quale sinodalità tra vescovo e presbiterio? Quale formazione nel seminario e formazione permanente curata dalla diocesi? Quale pastorale sacerdotale? Quale vicario per i preti? Quale attenzione per gli ex, gli emeriti e scartati? Quale formazione per i parroci? Quale dialogo fra preti e laici? Quale fraternità sacerdotale in ogni paese? Potrei continuare, ma preferisco farti pervenire al più presto un mio scritto per l’anno sacerdotale, di cui, eventualmente, fare uso sul giornale”.

E il suo scritto arrivò, elaborato nel 51° anno di sacerdozio e a conclusione dell’anno sacerdotale indetto nel 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars. Sul giornale ne pubblicammo una sintesi, ma lo rendiamo disponibile integralmente in allegato quale testamento spirituale di don Michele rivolto a Vescovo, sacerdoti e popolo di Dio. Con un’attenzione da riservare a quanti superano la soglia dei 75 anni, “da non… rottamare”.

don Michele Cipriani (27 gennaio 1935 – 16 febbraio 2023) ph: Luce e Vita

“Luogo fondamentale della fraternità sacerdotale è la Cattedrale e Concattedrale. Sappiamo che l’orientamento della Congregazione del Clero per tutta la Chiesa è l’estinzione “per morte naturale” dei Capitoli Concattedrali e di forme similari di aggregazione sacerdotale. L’orientamento generale va sempre contestualizzato, per evitare di buttare con l’acqua torbida anche il bambino, ma soprattutto va recuperato quanto resta di vivo in un’istituzione, e aggiornarlo e potenziarlo. è vitale la fraternità presbiterale, particolarmente in una stessa città, da perseguire secondo le situazioni e le modalità possibili oggi, inserirsi nella tradizione religiosa viva del luogo, innovandola per la gloria di Dio e la salvezza delle anime.
Il criterio ermeneutico della discontinuità e della rottura é legittimo solo per il peccato e per ciò che sa di “sporcizia nella Chiesa”, invece é da recuperare l’ermeneutica della riforma nella continuità, nella storia della Chiesa universale e locale.
Il passato non è tutto e solo negatività, ciò che è valido va sempre recuperato e rivitalizzato.
La formazione, come per qualunque categoria sociale, deve essere permanente, tanto accelerati sono i cambiamenti sociali e le acquisizioni tecnologico-scientifiche.
Un’attenzione particolare é dovuta al clero appena ordinato. Giustamente per alcuni anni si propone per essi un cammino particolare; forse sarebbe opportuna una verifica di tale esperienza per valutarne il grado di validità. Ci permettiamo suggerire qualche modesta osservazione, frutto di ascolto, dialogo, confronto con varie realtà:

  1. Più che proporre altre teorie, privilegiare la prassi, scegliendo obiettivi, di intesa con gli interessati e suggeriti dal presbitero coordinatore, dotato di buona personalità sacerdotale, culturale ed esperienza pastorale, che si confronta con il presbiterio.
  2. Programmare laboratori di esperienze pastorali significative, da analizzare e/o costruire valutandone l’efficacia.
  3. In nessun modo separare il clero giovane da quello adulto e anziano: si acutizza la difficoltà di comunicazione, è più problematica la collaborazione, si priva il clero giovane della conoscenza della propria “traditio fidei” e dell’esperienza pastorale dei presbiteri adulti e anziani. Nulla di più contrario alla comunione presbiterale la separazione, la contrapposizione, l’emarginazione tra clero giovane e non.
  4. Importante ribadire che il prete non é un funzionario del sacro, ma é un padre per la comunità e deve attuare il proprio sacerdozio in chiave paterna, per amore e a tempo pieno.
    Il sacerdote è operaio del Signore nella sua vigna e gli é perciò richiesto almeno il rigore e la professionalità propria di qualunque operaio, agendo sempre e solo per amore di Cristo!
  5. Deleterio l’atteggiamento dei responsabili del clero in formazione ingraziarsi i neopresbiteri, ed anche i seminaristi, per paura di perderli, temendo la loro fragilità psicologica e spirituale; tentazione, questa, più viva soprattutto dove c’e carenza di clero.
  6. Preparare l’avvicendamento pastorale, ricordando che predecessore e successore sono a servizio dell’unico Signore e della medesirna porzione del gregge di Dio. Passare il testimone non può significare la “damnatio memoriae” del predecessore, e finalmente, l’aurora del mondo nuovo con il successore.

E’ da folli pensare gli uomini come pedine nella scacchiera diocesana, o lampadine da sostituire, o pezzi da rottamare a 75 anni suonati, ignorando la vita e la sua modalità, senza proporre spazi adeguati alla situazione del soggetto e alle possibilità della diocesi (o di altre diocesi. è necessario, per i dimissionari, un accompagnamento psicologico, spirituale e pastorale, segno autentico di carità presbiterale, per evitare disturbi psicologici e sociali, anche irreparabili.
Un’attenzione particolarissima è da riservare a quelli che hanno lasciato il sacerdozio. A parte ogni considerazione, se validamente ordinati, restano sacerdoti in eterno e, perchè tali, in mortis periculo, possono assolvere da qualsiasi peccato e censura. Forse qualche colpa l’abbiamo anche noi per l’abbandono del loro sacerdozio; questi ordinariamente non vivono bene la nuova situazione. Dovremmo sempre ricordare che la Chiesa è madre giusta e mai matrigna.
Sono certissimo che la carità piena, come descritta da Paolo ai Corinti, e la pace augurata dal Risorto ai suoi la sera di Pasqua, é dono dello Spirito, ma da implorare ed attuare come compito prioritario di ogni giorno mai pienamente attuato, si realizzerà in pienezza alla fine del tempo personale e cosmico.
Questi beni Cristo ha richiesto appassionatamente alla Chiesa e, in modo particolarissimo, ai suoi Apostoli e successori, al punto da essere anelito struggente a poche ore dalla sua morte e ha dato come segno di identità e riconoscibilità per i discepoli di Lui”.

don Michele Cipriani
Luce e Vita n.33 del 16/10/2022

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