IV domenica di Avvento: l’attesa sta per compiersi

Rorate Caeli. «Stillate, cieli, dall’alto, le nubi facciano piovere il Giusto; si apra la terra e germogli il Salvatore».
Ormai è prossimo il Santo Natale, e presto la Chiesa con grande gioia e splendore celebrerà la nascita di colui che ci ha salvato, Gesù Cristo, a Betlemme di Giudea.

L’antifona d’ingresso, tratta dal libro di Isaia (cf. Is 45, 8), descrive per contrasto lo stato dell’umanità che attende il Signore: come lui è pioggia benefica, l’umanità è terra riarsa, che, irrigata dallo Spirito Santo, nella persona della Vergine Maria fa germogliare il Figlio di Dio che è anche il Figlio dell’Uomo in maniera misteriosa e unica.

Non a caso, in questa ultima Domenica del tempo d’Avvento, la Chiesa proclama il Vangelo dell’Annunciazione. Si compiono, come ricorda Paolo, le profezie dei profeti, si squarcia con il Sì di Maria il velo del Mistero di Dio “avvolto nel silenzio dei secoli eterni”, si compie la profezia di Natan al re Davide: “io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio” (2 Sam 7,12-14).

L’attesa del popolo eletto si sta per compiere, ma il Salvatore si presenterà in maniera inaspettata: non tra le porpore e l’oro del palazzo reale di Gerusalemme, ma nell’umile casa di Maria e nell’ancor più umile stalla di Betlemme; il Figlio di Dio, il Verbo creatore principio e fine dell’universo, sarà adagiato, neonato e indifeso, in una mangiatoia.

Dio non è mai prevedibile; il profeta Isaia lo dice con parole chiare: “Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55, 9).
La salvezza Dio la opera non tanto con mezzi stupefacenti e scenografici, ma con il pianto sommesso di un bambino appena nato. Eppure quel pianto, quella debolezza, sono i mezzi scelti dall’onnipotente per la salvezza del genere umano.