È passata circa una settimana dal funerale di Papa Francesco, pressoché due dalla sua morte. Tutti, o quasi, si sono affrettati a pubblicare foto, pensieri, frasi, articoli, riflessioni, in una gara a chi dicesse prima e di più degli altri. Una gara a chi ha episodi da raccontare e incontri da vantare. Una gara molto social e poco evangelica. Noi abbiamo scelto di non partecipare a questa gara (nonostante di incontri emozionanti e di foto con il caro Papa Francesco ne abbiamo avuti), abbiamo scelto di rispettare il calendario di pubblicazione già previsto, di attendere questo numero per mettere qualcosa nero su bianco. È un evento importante la morte del Sommo Pontefice e noi non abbiamo voluto correre il rischio di ridurlo ad una foto o ad un commento frettoloso, ad una serie di considerazioni sentimentalistiche, o peggio banali.
Qualcuno potrebbe dirci che siamo in ritardo, che nel mondo di oggi o parli subito o sei già superato, che come giornale dovremmo correre dietro agli eventi e affrettarci a commentarli, essere pronti con la penna in mano, anzi con il pc acceso a scrivere e pubblicare.
Noi, però, abbiamo scelto di non seguire il mondo, ma di seguire il Vangelo (come proprio Papa Francesco ci ha tante volte esortato a fare), di non seguire lo stile del giornalismo apprensivo e, a volte, aggressivo, ma di seguire lo stile del nostro Maestro. E cosa ci dice il Vangelo?
Nel Vangelo di Giovanni si racconta che Gesù di fronte alla morte del suo più caro amico, quello che egli amava, pur essendo stato avvisato tempestivamente della sua grave malattia, arriva a casa sua solo quando già da quattro giorni Lazzaro era nel sepolcro (cf. Io. 11,17). Arrivò tardi, troppo tardi. Lazzaro era ormai morto da giorni e sia Marta, sia Maria gli fanno notare il suo fatale ritardo. Ma Gesù non è interessato ai tempi umani e, pienamente consapevole della Sua profonda ed ontologica relazione con il Padre, invita chi gli sta accanto a vincere le ansie e le apprensioni, per lasciare il primato a Dio e alla manifestazione della sua onnipotenza. Tutto, anche la morte dell’amico, soprattutto la morte, è occasione per Dio di rivelare il suo amore divino, mentre chi segue i ritmi del mondo rischia seriamente di perdersi in letture superficiali e non scorgere la verità più profonda della fede.

È l’attesa, è il silenzio, è la meditazione il modo in cui il cristiano si pone di fronte agli eventi per scorgervi, dietro la scorza che fa notizia, la Presenza che dà Speranza.
Questo, in continuità con tutta la tradizione della Chiesa, lo ha annunciato tante volte anche lo stesso Papa Francesco, il quale ha insegnato ad «andare controcorrente rispetto alla mentalità oggi diffusa, in cui dominano la fretta e il “tutto subito”» perché «la fretta e l’impazienza sono nemiche della vita spirituale» (Udienza Generale 27.03.2024). Già dall’inizio del suo pontificato, nel Messaggio per la XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Papa Francesco proprio agli operatori della comunicazione diceva: «che cosa ci aiuta nell’ambiente digitale a crescere in umanità e nella comprensione reciproca? Ad esempio, dobbiamo recuperare un certo senso di lentezza e di calma. Questo richiede tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare».
Ecco cosa avviene, ed è avvenuto ancora in questi giorni: tutti pronti a parlare e a scrivere, ma non ad ascoltare. Perché oggi parlare è una abilità da tutti, ascoltare invece è una virtù da cristiani. Ma ascoltare cosa? Ascoltare in silenzio l’annuncio della Pasqua di Cristo che ha avvolto di luce anche la pasqua del Suo amico amato, il Santo Padre Francesco.
L’immagine del Vangelo di Giovanni, quindi, ci racconta di uno stile diverso di approcciarsi agli avvenimenti, di uno stile cristiano che non corre dietro alle notizie, ma medita e riflette, affida tutto al Padre celeste con serenità.
Ma ci può essere utile anche per comprendere il rapporto stretto, che mai dobbiamo dimenticare, tra Cristo e la sua Chiesa, tra il Signore e i suoi ministri. Ecco l’altra tentazione, quella di leggere Papa Francesco solo con categorie umane, volte a relegarlo nelle strettoie di una ermeneutica sociale, politica, mediatica così che «come per ogni Papa, anche il Papa attuale è andato bene quando diceva cose che potevano venire accolte da certe ideologie, ma non andava bene quando diceva cose che non erano in sintonia con certe ideologie», come ha detto pochi giorni fa Mons. Guido Marini, che per diversi anni ha lavorato al fianco di Papa Francesco.
È alla luce di Cristo che si legge il ministero del Papa, il quale è l’amico amato dal Signore al quale Egli stesso ha voluto affidare la Sua Chiesa.
Ecco chi è il Papa – ogni papa: Francesco, coloro che lo hanno preceduto, coloro che lo seguiranno – è l’amico di Cristo, è colui che grazie all’intimità con il Signore guida la Chiesa verso il Suo Maestro, la aiuta ad essere sempre fedele al Suo Vangelo, come Pietro proclama con la Chiesa la sua professione di fede e di lode alla Santa ed indivisa Trinità.
E allora, al di là di tante considerazioni e parole, solo una cosa vogliamo dire, alla luce della fede: il Pontificato del Santo Padre Francesco è stato una occasione per tutta la Chiesa e, anche, per il mondo intero. Una occasione concessa dal Signore per interrogarsi sul presente e sul futuro, una occasione per mettere in luce punti di forza e di debolezza, una occasione per risvegliare lo zelo per la fede, riaccendere il desiderio di un’autentica fedeltà al magistero di Cristo, mettere in guardia da facili estremismi e derive. Ora tocca a noi non far cadere l’occasione che il Signore ci ha dato, tocca alla Chiesa intera e toccherà al nuovo Pontefice fare tesoro di questa occasione per continuare a guidare l’umanità sulla rotta della santità.
don Giuseppe Germinario, direttore