Volti dalla Terra Santa/6: Pizzaballa, cristiani più audaci

Mercoledì 13 settembre 2023 (mattina)

È prevalentemente nei confronti di bambini e famiglie islamiche che vengono rivolti tutti i progetti di promozione sociale e culturale che la Chiesa Cattolica promuove in Terra Santa, in particolare nei territori palestinesi. Della presenza dei Cristiani nella terra di Gesù parliamo con il Patriarca latino Mons. Pierbattista Pizzaballa, che il prossimo 30 settembre sarà creato cardinale da Papa Francesco.

Nella sede del patriarcato Mons. Pizzaballa – dal 1990 presente in Terra Santa, dal 2004 nominato Custode e dall’ottobre 2020 nominato Patriarca – ci accoglie in un dialogo fraterno ma deciso su alcuni temi che riguardano la presenza dei Cristiani e la non facile interazione con le altre fedi e con le autorità.

“Una realtà molto complessa, la Terra Santa, di cui si parla poco e in cui però affondano le radici religiose del cristianesimo. Occorre parlare, raccontare”. Mons. Pizzaballa usa la metafora del terremoto per dire che in quella terra si scontrano diverse placche “umane, culturali e religiose, oriente e occidente, ebrei, cristiani, musulmani e queste tensioni molto spesso vengono fuori, ma vengono fuori anche le loro ricchezze”. Le criticità interne alla Terra Santa si ripercuotono nel mondo intero, ma anche le criticità esterne ad essa si coagulano in essa e prendono forma più evidente con le tensioni e i conflitti.

Spiegare questa complessità non è semplice. La realtà cristiana (non solo cattolica) è molto piccola in Terra Santa, dallo 0,8 al 2% della popolazione diluita su tutto il territorio. Due terzi della popolazione non ha mai visto i cristiani. A Betlemme, Gerusalemme e Nazareth i cristiani si vedono, ma nell’entroterra si ha un’idea astratta dei cristiani. Il numero dei cristiani però, già così piccolo, comincia addirittura a diminuire per due ragioni: la denatalità e una lente emigrazione. Su 5 milioni di persone in Palestina, solo 45000 sono cristiani. In Israele su 7,5 milioni di ebrei e 1,5 milione di musulmani, i cristiani arabi sono circa 130.000 e i cristiani non arabi circa 100000. In Giordania, su 10 milioni sono circa 200.000. A Cipro, circa 40000, poi ci sono numeri imprecisati di profughi. Le due chiese principali sono ortodossi e cattolici, piccolissime le minoranze di copti e armeni e protestanti. Sul piano politico la situazione è molto problematica.

Grossa spaccatura in Israele, che non ha ancora una Costituzione, tra le due anime, quella liberale e più laica e quella conservatrice e più religiosa; anche in Palestina il paese è diviso con una leadership molto fragile e popolazioni allo sbando. Queste due presenze, israeliani e palestinesi, vivono una profonda sfiducia nel dialogo. Non mancano anche divisioni interne tra cristiani, soprattutto nelle chiese ortodosse, un po’ meno in quella cattolica, e questo indebolisce la voce dei cristiani nei confronti degli altri. Detto questo, se è vero che le istituzioni sono un po’ ingessate, è vero anche che sul territorio, dove il virus della violenza e della sfiducia è molto aggressivo, ci sono preziosi antivirus come organizzazioni, movimenti, realtà molto belle in rete che operano quotidianamente con le persone – l’età media dei palestinesi è di 25 anni -, come abbiamo avuto modo di vedere visitando i progetti. “Ma non basta operare sul territorio silenziosamente, rimarca il Patriarca – occorre essere voce forte, dire una parola cristiana differente sulla realtà, sul conflitto, avere qualcosa da dire, da comunicare e questo si può fare se si è uniti”.

Il dialogo religioso è in divenire, ma gli incontri tra rappresentanti religiosi si fanno a porte chiuse per evitare strumentalizzazioni.

Nella lunga e intensa chiacchierata chiedo al Patriarca, futuro Cardinale, come vede da Gerusalemme la Chiesa occidentale, quella romana. “Vedo una Chiesa timorosa, poco audace. Una Chiesa che parla poco di Dio, ma da lì si deve partire. Deve stare attenta ai bisogni alle priorità dell’uomo ma il punto di partenza è Dio”. “Una Chiesa che fa fatica a dire una parola di orientamento alla vita sociale, soprattutto alle nuove generazioni ma non solo. Difronte a questi grandi cambiamenti di una società che sta diventando sempre più multiculturale, multireligiosa, deve dire una parola di orientamento sereno. Una Chiesa che si preoccupa di tante questioni che mi paiono molto di élite, ma che tocchino poco la vita reale della gente”, ha proseguito il patriarca, aggiungendo: “Detto questo però, vedo anche tante bellissime realtà di territorio. Parrocchie con parroci meravigliosi. Vedo nel territorio tante realtà molto belle e positive, però in generale come Chiesa è in una fase un po’ di stanchezza”.

Si può essere d’accordo o meno col suo punto di vista. Al Cardinale faccio dono, a nome del Vescovo, delle ultime produzioni librarie su don Tonino e della copia della croce pettorale, augurandogli che possa trovare nei Scritti di Pace spunti spendibili per il suo ruolo di mediazione in Terra Santa.

Luigi Sparapano

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